Il terzo giorno dal primo

 IL  TERZO  GIORNO DAL PRIMO



Tendo l’udito.


Par uno sciacquìo,

d’acqua,

al di là

delle tapparelle chiuse.


Infatti piove,

a dissetar le piante.


Batte e rimbalza,

goccia, goccia,

su ogni foglia,

facendo lentamente

dondolar  i rami,

qual leggera altalena,

senza vento.


Lucidi i poggioli, 

lucido l’asfalto,

lucide le terrazze

ai tetti.


Lancia ad intervalli lunghi,

il suo richiamo.

la  tortora,

al ciel pallido e grigio.


Scivola ronfando il bus,

caricando alla fermata,

le corolle colorate

degli ombrelli, aperti.


Pur sul rubino dei gerani,

e sul ciuffo di campanelle rosse,

dal cuor giallo,

all’angolo del balcone,

(che van scendendo,

appoggiandosi  alla parete,

come edera),

par s’allunghi,

una tonalità d’ombra.


Quant’è bello!


Anche  gli abeti,

ed il cespuglio di  lavanda,

s’ombreggian

d’un grigio azzurrino!


Sol una spruzzata, 

d’argento fuso.


Sostan le gocce,

con grazia,

a catturar raggi di luce,

ai poggiamani delle ringhiere.


Pochi uccelli,

sbatton l’ali,

volando alti,

sopra gli abeti.


Gli altri,

stan a guardar dai nidi,

con i vispi occhietti,

brillanti, vivaci e scuri,

alzando all’aere,

la loro canzon d’amore.


Non  ancor, 

donne ed i bimbi,

lascian cader briciole

di pan e focaccia,

sui marciapiedi delle strade!


Pur i moscerini

dormono,

e nemmeno i ragni tesson,

la lor preziosa tela,

a  questo nuovo giorno,

che di  sol non splende.

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